La riabilitazione della malattia di Parkinson

3 Dicembre 2019

 

A cura di:

Dott. Filippo Iorillo

La malattia di Parkinson è la malattia neurodegenerativa più frequente dopo la malattia di Alzheimer, ed è causata dalla degenerazione dei neuroni localizzati in una struttura del cervello denominata “substantia nigra” che contengono dopamina.

La prevalenza della malattia (il numero dei pazienti affetti) aumenta con l’età ed è stimata nei paesi industrializzati pari allo 0,3% della popolazione generale. L’incidenza (il numero di nuovi casi all’anno), è di circa 8-18 nuovi pazienti per 100.000 abitanti.

Autore

Dott. Filippo Iorillo

Medicina Fisica e Riabilitazione

N. Iscrizione AV 3822

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L’età media di insorgenza è di circa 60 anni, ma sono descritte forme ad esordio precoce (prima dei 50) e perfino giovanile (parkinsonismi genetici). Colpisce entrambi i sessi, ma tende a prevalere negli uomini.

Il quadro clinico è caratterizzato da sintomi motori e non motori.

Fra i primi vi sono il tremore a riposo, la rigidità muscolare, la “bradicinesia” (cioè il rallentamento nell’esecuzione dei movimenti volontari, in particolare quelli sequenziali e simultanei), e l’instabilità posturale. Accanto a questi sintomi cardinali, si osserva perdita dei movimenti spontanei, riduzione dell’ammiccamento, marcata riduzione della mimica facciale, abbassamento del tono della voce, variazione della scrittura che tende a rimpicciolire, abolizione di alcuni movimenti automatici come l’oscillazione delle braccia durante la marcia. I sintomi motori possono avere presentazione asimmetrica, cioè colpire un lato del corpo più dell’altro.

Fra in sintomi non motori – che possono anticipare anche di molti anni quelli motori – si annoverano i disturbi urinari (aumento della frequenza e urgenza menzionale), i disordini gastrointestinali (eccessiva salivazione, difficoltà ad ingoiare, digestione lenta, meteorismo, stipsi), i disturbi cardiovascolari (cali di pressione, in particolare nel passaggio dalla postura sdraiata a quella eretta o dopo il consumo di pasti abbondanti), i disturbi neuropsichiatrici (depressione, ansia, apatia), le alterazioni cognitive (disturbi dell’attenzione e della memoria), i disturbi del sonno (sogni vividi ed agitati, incubi, insonnia, irrequietezza delle gambe nel sonno), e i disturbi del sensorio (riduzione o perdita dell’olfatto e del gusto, dolori diffusi).

La diagnosi si basa sulla valutazione clinica, corroborata da indagini strumentali. La TAC o la Risonanza magnetica sono utili per escludere altre patologie che possono indurre sindrome parkinsoniana, quali processi vascolari, tumorali o altri patologie neurodegenerative. Le metodiche di neuroimmagine funzionale mediante l’uso di traccianti radioattivi come la SPECT e la PET si utilizzano per la diagnosi differenziale tra Malattia di Parkinson ed altre forme di parkinsonismi, e sono in grado di fornire informazioni sull’integrità dell’innervazione dopaminergica della via nervosa nigro-striatale, sul consumo cerebrale di glucosio, sull’innervazione adrenergica cardiaca.

Per confermare la diagnosi è importante valutare la risposta alla terapia farmacologica dopaminergica. Questa è principalmente incentrata sulla somministrazione orale di levodopa (precursore della dopamina) o di agonisti dopaminergici. Inoltre si avvale di inibitori degli enizimi catabolizzanti la dopamina quali le monamino-ossidasi e le catecol-O-metiltransferasi: in tal modo si cerca di potenziare gli effetti sinaptici della dopamina e con essi, l’efficacia terapeutica in termini di intensità e durata d’azione. Infine annovera i farmaci anticolinergici, particolarmente efficaci sul tremore.

Terapie per la Malattia di Alzheimer

Il farmaco fondamentale della terapia antiparkinsoniana è la levodopa, tuttavia a distanza di alcuni anni di trattamento (quindi con l’avanzare della malattia) circa la metà dei pazienti sviluppa complicanze relative all’azione farmacologica della levodopa. Si tratta delle cosiddette fluttuazioni motorie e dei movimenti involontari noti come “discinesie”, entrambi difficili da gestire con la terapia tradizionale, e che col tempo risultano disabilitanti. Per tale ragione, nelle fasi avanzate di malattia, si considerano, ove possibile, terapie invasive come l’infusione di apomorfina per via sottocutanea, o quella di levodopa per via intraduodenale, o la stimolazione cerebrale profonda mediante infissione di elettrodi stimolanti in specifici nuclei sottocorticali del cervello.

La presa in carico riabilitativa ha un ruolo importante nel trattamento della malattia di Parkinson. Lo scopo è quello di massimizzare le funzioni residue, migliorare la qualità della vita e minimizzare le complicanze secondarie, attraverso un approccio globale sia interdisciplinare che multidimensionale. La riabilitazione motoria consiste in parte in un processo di apprendimento che si realizza attraverso l’attivazione di diversi meccanismi di memoria e che prevede l’acquisizione di nuove abilità e l’ottimizzazione di quelle residue, teso a garantire il massimo grado di autonomia nelle attività di vita quotidiana. La base anatomo-funzionale della riabilitazione motoria è la neuroplasticità indotta dall’esercizio fisico, ovvero la capacità dei neuroni di modificare la loro struttura e funzione in risposta ad una serie di stimoli esterni.

La riabilitazione motoria si pone come principali obiettivi il miglioramento delle condizioni neuro-muscolo-scheletriche (articolarità, forza, resistenza, coordinazione), delle prestazioni motorie globali (passaggi posturali, cammino, attività della vita quotidiana), oltre che la riduzione del rischio di cadute.

Gli approcci terapeutici si basano su:

  • Esercizi di stretching
  • Esercizi posturali propriocettivi
  • Esercizi di respirazione
  • Rieducazione ai passaggi posturali
  • Rieducazione dell’instabilità posturale (si lavora per l’equilibrio in fase statica e dinamica; per la fase statica esercizi di mantenimento della stazione eretta associate a modificazione della base d’appoggio dei piedi o mentre si poggia su una superficie instabile, sbilanciamenti controllati tacco-punta, squatting; per fase dinamica: marcia con stop, cambi di direzione, vari tipi di cammino, variazioni posturali)
  • Rieducazione della funzione cammino (proposti esercizi di deambulazione in varie direzioni, in avanti, indietro, laterale con passo incrociato, a diverse velocità con frequenti e rapidi cambi di direzione, in condizioni di doppio compito (camminare e contare all’indietro, camminare e lanciare in aria un pallone), camminare su percorsi propriocettivi
  • Addestramento a strategie cognitive

Nuovi approcci riabilitativi sono stati sviluppati sulla base delle conoscenze fisiopatologiche allo scopo di compensare meccanismi deficitari. Un esempio è l’utilizzo dei “cues”, stimoli segnale utilizzati in modo cosciente e consapevole dal paziente (al quale si rivolge l’istruzione di mantenere alta l’attenzione) in grado di facilitare sia l’avvio che il mantenimento del movimento volontario. Fornendo un ritmo mediante somministrazioni di stimoli esterni polimodali, è possibile compensare la ridotta produzione da parte dei gangli della base interessati dal processo degenerativo – dei segnali interni necessari alla guida del movimento.
I cues possono essere di vari tipi:

  • uditivi (metronomo, voce umana, ritmo della musica)
  • visivi (strisce colorate poste sul pavimento perpendicolarmente alla direzione di marcia, luce di una penna laser, asticella ribaltabile del bastone)
  • propriocettivi (dondolarsi per superare il freezing o fare un passo indietro prima di iniziare il cammino)
  • cognitivi (memorizzare mentalmente ripetendola una sequenza del movimento; concentrarsi sul luogo dove si vuole andare e non sulla porta da oltrepassare).

Nell’approccio globale e integrato, non meno importante è la rieducazione di abilità specifiche quali la mimica, la scrittura, la destrezza manuale, il linguaggio e la deglutizione, cosi come la valutazione ed il trattamento della depressione che inficia in modo negativo la qualità di vita del paziente.

Poiché la MP è una patologia cronico-progressiva, l’intervento riabilitativo deve adattarsi all’evolutività del processo patologico, ai cambiamenti ai quali va incontro il paziente, alle necessità che da tali cambiamenti derivano. Nelle fasi iniziali di malattia il trattamento dovrebbe essere quindi orientato a far apprendere al paziente strategie di movimento atte a superare i deficit motori; nelle fasi tardive di malattia a strategie atte a fronteggiare l’emergenza di ulteriori menomazioni quali disfagia, declino cognitivo, psicosi, disturbi del sonno, dolore, fatica e disturbi disautonomici.
Il trattamento riabilitativo va iniziato quanto più precocemente possibile con l’obiettivi di ritardare l’aggravamento della patologia, migliorare la qualità della vita, allungare la prospettiva di vita.

Uno stile di vita attivo è particolarmente importante per contrastare l’apatia legata alla malattia e prevenire il decondizionamento che amplifica il rallentamento psico-motorio. A tale scopo, varie prove sperimentali cliniche dimostrano che l’esercizio fisico finalizzato ad una attività risulta un efficace strumento.
Per questo l’attività sportiva può essere particolarmente utile anche per l’interazione sociale:

  • Nuoto
  • Pilates
  • Tai‐Chi
  • Yoga
  • Nordic walking
  • Passeggiate
  • Treadmill (tapis roulant)
  • Danza

o altre attività ugualmente valide purché condotte con sufficiente regolarità.

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