La malattia di Alzheimer
A cura di:
Dott. Alberto Doretti
09/04/2020
Cos’è la malattia di Alzheimer?
La malattia di Alzheimer o demenza di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa (cioè caratterizzata da perdita progressiva dei neuroni) ad eziologia (causa) e patogenesi (meccanismo che porta alla patologia) ignote, che colpisce principalmente gli anziani, e si attesta come la causa più comune di demenza.
La manifestazione clinica più importante, più precoce e cardine della malattia è la compromissione selettiva della memoria a breve termine (il ricordo di eventi recenti), sebbene vi possano essere delle eccezioni.
Mentre sono disponibili trattamenti in grado di migliorare alcuni sintomi della malattia e la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari, non esiste ancora alcun trattamento in grado di modificare o rallentare il decorso della malattia, cosicché la malattia inevitabilmente progredisce in tutti i pazienti.
La malattia di Alzheimer colpisce persone di età avanzata, e risulta eccezionale prima dei 60 anni. L’incidenza e la prevalenza aumentano esponenzialmente con l’età, raddoppiando il numero degli affetti ogni 5 anni dopo i 65 anni. L’esordio precoce è insolito (insorgenza dei sintomi prima dei 65 anni di età), ma quando accade i pazienti si presentano a causa di problemi con le prestazioni lavorative, manifestano spesso sintomi atipici, incluse modificazioni del linguaggio, della vista, del comportamento o dell’umore.
La maggior parte dei pazienti non ha un chiaro schema di patologia familiare e viene pertanto definita come affetta da malattia sporadica. Esistono rare forme ereditarie che si presentano di norma prima dei 65 e perfino prima dei 50 anni. Queste forme rappresentano meno dell’1% di tutti i casi, e mostrano in genere un modello di ereditarietà autosomica dominante, ovvero si trasmette di generazione in generazione nella stessa famiglia.
L’età di insorgenza più avanzata (> 80 anni) è solitamente associata a un tasso di declino più lento. Al contrario, la comparsa precoce (nelle prime fasi di malattia) di sintomi neuropsichiatrici tra i quali psicosi, agitazione ed aggressività è stata associata a un declino più rapido.
L’aspettativa di vita media dopo una diagnosi di malattia di Alzheimer è stata stimata indicativamente tra gli 8 ed i 10 anni, ma può variare abbondantemente (dai 3 ai 20 anni) e dipende in gran parte da quanto è compromessa la persona al momento della diagnosi, dalla presenza di un supporto familiare efficace ed efficiente, e dal paese in cui il Paziente si trova (il sistema sanitario italiano offre un supporto superiore a quello della maggior parte dei sistemi sanitari occidentali).
I pazienti generalmente soccombono in conseguenza delle complicazioni dovute allo stadio terminale di malattia, alla disidratazione, alla malnutrizione e alle infezioni intercorrenti.
Le cause della malattia di Alzheimer
Come già spiegato le cause ad oggi non sono del tutto note. Sono state formulate numerose ipotesi su quale sia il primum movens, ma ad oggi numerosi elementi ambientali e genetici sono ritenuti fattori di rischio, ma non sufficienti a generare la patologia. Questo problema è trasversale a molte malattie neurodegenerative, per le quali si scopre una moltitudine di meccanismi che concorrono a generare la patologia. Nel caso dell’Alzheimer, gli studi fin ad oggi effettuati si sono concentrati su varie e differenti ipotesi correlate tra loro:
- 1) La formazione di placche amiloidi extracellulari (composte principalmente da frammenti di proteina amiloide contenenti 42 aminoacidi [amiloide beta 42]) con conseguente accumulo e danno ai tessuti: possono essere conseguenza di fattori genetici (mutazioni che causano/predispongono allo sviluppo della malattia producendo un aumento della produzione di beta-42-amiloide) oppure ad una riduzione del metabolismo e della rimozione. Entrambi i fattori possono associarsi ad uno stile di vita che ne causa un’aumentata produzione.
- 2) Ipotesi colinergica, la base teorica da cui vennero sviluppati i più importanti farmaci ad oggi in uso: l’encefalo dei pazienti presenta fin dalle fasi più precoci della malattia una perdita di neuroni colinergici nel nucleo basale e nella corteccia entorinale, fino ad arrivare, nelle fasi più avanzate, ad una perdita pressoché completa dei neuroni colinergici delle stesse aree (oltre il 90%).
- 3) Processi infiammatori e presenza di biomarcatori infiammatori: come nella maggior parte delle malattie neurodegenerative è stato inoltre postulato il coinvolgimento del mitocondrio (la centrale energetica della cellula) con conseguente formazione di radicali liberi dell’ossigeno che potenziano il danno cellulare.
- 4) Malattia vascolare (detta anche cerebrovasculopatia o encefalopatia vascolare): determinante indipendente della demenza vascolare, ma concausa dell’aumentata deposizione di amiloide con conseguente neurodegenerazione (morte neuronale).
- 5) Invecchiamento: degenerazione come forma di invecchiamento precoce dei neuroni, indipendentemente dalla deposizione di amiloide e dalle malattie vascolari.
I sintomi
Come già anticipato, il sintomo centrale della malattia o demenza di Alzheimer è la compromissione della memoria. Il sintomo iniziale più comune è la compromissione della memoria a breve termine, cioè ovvero la memoria degli eventi recenti. In queste fasi la memoria per gli eventi più lontani (memoria a lungo termine) rimane conservata. Possono comparire deficit anche in altri domini cognitivi, ma solo dopo la compromissione della memoria.
La disfunzione esecutiva (incapacità di progettare e definire obiettivi, attuare sequenze motorie finalizzate ad uno scopo, monitorare, e se necessario modificare, il proprio comportamento per adeguarlo a nuove condizioni) e la compromissione visuo-spaziale (erronea rappresentazione mentale dei rapporti spaziali tra oggetti e tra persone ed oggetti), si presentano frequentemente nelle fasi precoci in associazione ai deficit mnesici. Questi disturbi compromettono solo in minima parte la qualità della vita nel Paziente creando limitazioni scarsamente percepite dai familiari e dal paziente stesso.
Nelle fasi più avanzate si assiste al peggioramento dei sintomi, al progressivo deterioramento della memoria a lungo termine con perdita di informazioni consolidate risalenti al passato meno recente, e alla comparsa di disturbi del linguaggio e comportamentali. I deficit del linguaggio sono caratterizzati da difficoltà a reperire nomi di oggetti di uso comune (non tanto i nomi di persone), da alterazioni delle strutture delle frasi con errori semantici e sintattici, difficoltà grammaticali). I disturbi descritti tendono a presentarsi in modo insidioso (non ci si rende conto della loro effettiva comparsa e risulta spesso difficile sia per il paziente che per i familiari stabilire una data precisa d’esordio) e progrediscono in modo lento e costante. I disturbi del comportamento consistono in alterazioni della condotta con irritabilità, aggressività, oppositività, incontinenza emotiva.
La progressione ed i sintomi della malattia possono essere quantificati con scale di valutazione somministrate da professionisti (neuropsicologi o neurologi) e con strumenti certificati e standardizzati come il Mini-Mental State Examination (MMSE) ed il Montreal Cognitive Assessment (MoCA).
Come si diagnostica la malattia di Alzheimer?
Una valutazione clinica dettagliata fornisce una ragionevole accuratezza diagnostica nella maggior parte dei pazienti. Quando si verifica, l’errore diagnostico è in genere dovuto alla sovrapposizione della clinica con un’altra malattia neurodegenerativa.
I criteri clinici per la diagnosi di malattia di Alzheimer includono: una storia di insorgenza insidiosa e un decorso progressivo del declino cognitivo, l’esclusione di altre possibili cause di demenza, e la documentazione delle menomazioni cognitive in uno o più domini.
Un esame neurologico generale e cognitivo dettagliato è fondamentale.
La diagnosi definitiva di malattia di Alzheimer richiede un esame istopatologico, che raramente, se non eccezionalmente viene eseguito. La diagnosi dipende quindi dai criteri clinici stabiliti dal National Institute on Aging and the Alzheimer’s Association (NIA-AA). Oggi è possibile corroborare la diagnosi di natura in vita mediante l’utilizzo di biomarkers di neuroimmagine strutturale, funzionale e biologici, che quando positivi indicano una neuropatologia specifica. Tra questi la tomografia a emissione di positroni con fluorodeossiglucosio 18-F (FDG-PET) e la tomografia computerizzata a emissione di singoli fotoni (SPECT) che rivelano regioni di ipometabolismo (PET) e ipoperfusione (SPECT); la PET con traccianti come il F18-florbetapir, F18-flutemetamol, F18-florbetaben che misurano il carico di lesioni amiloidi encefaliche; il dosaggio di proteine liquorali espressioni di metabolismo amiloideo o neurodegenerazione.
I disturbi più comuni considerati nella diagnosi differenziale sono la demenza vascolare e altre demenze neurodegenerative. Le due forme più comuni di queste ultime dopo la malattia di Alzheimer sono la demenza con corpi di Lewy e la demenza frontotemporale.
La valutazione neuropsicologica risulta spesso utile in quanto permette di: monitorare con scale di valutazione quantitative e qualitative il paziente nel tempo; aiutare a distinguere tra diverse forme di demenze neurodegenerative o tra una demenza neurodegenerativa e altre eziologie di compromissione cognitiva, come la malattia cerebrovascolare o la depressione; valutare le competenze specifiche e porre indicazioni di supporto ai familiari ed infine individuare opportunità per strategie di trattamento compensativo o riabilitativo.
L’imaging cerebrale (neuroimaging), preferibilmente effettuato con la risonanza magnetica è indicato nella valutazione di pazienti con sospetta malattia di Alzheimer. La risonanza magnetica cerebrale può documentare potenziali diagnosi alternative o aggiuntive tra cui la malattia cerebrovascolare (malattia dei piccoli vasi, demenza multi-infartuale, infarti strategici, ematomi cronici), le neoplasie cerebrali, l’idrocefalo a pressione normale, le atrofie cerebrale selettive di aree specifiche.
Quali cure e quali terapie seguire
Ad oggi non vi è cura – intesa come intervento capace di invertire o arrestare il processo degenerativo – per la Malattia di Alzheimer, al pari di quanto avviene per l’ipertensione. Come il paziente iperteso dovrà prendere per tutta la vita l’antipertensivo per controllare la sua pressione arteriosa, così il paziente con demenza potrà avvalersi di farmaci sintomatici nel tentativo di minimizzare i sintomi. Non esiste oggi un farmaco approvato in grado di modificare anche solo parzialmente il decorso della malattia, ad esempio rallentandone la progressione. Esistono piuttosto farmaci e interventi terapeutici atti a ridurre i sintomi, controllare le complicanze e minimizzare gli effetti della malattia. Il pilastro della gestione è quindi sintomatico: potenziamento dei meccanismi biochimici coinvolti nella memoria, trattamento dei disturbi comportamentali, manipolazioni ambientali a supporto della funzione e consulenza in materia di sicurezza. Il futuro promette trattamenti specifici per la malattia e, si spera, che questi possano modificare il decorso della malattia.
La gestione ottimale del paziente avviene adattando al singolo paziente ed al suo specifico contesto la terapia, i provvedimenti terapeutici e le indicazioni a familiari e caregivers considerando l’estrema eterogeneicità della malattia nelle sue diverse fasi.
Al momento esistono 4 farmaci specificamente approvati per la malattia di Alzheimer: tre inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, rivastigmina e galantamina) e la memantina (un modulatore del recettore NMDA). Questi farmaci possono fornire modesti benefici sulla funzione mnesica (memoria) in alcuni pazienti, ma non in tutti, con demenza di Alzheimer. Tendenzialmente i farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi vengono utilizzati nelle forme lievi e moderate, mentre nelle forme moderate o severe si propende ad utilizzare la memantina. La combinazione di memantina ed un inibitore delle colinesterasi porta a modesti miglioramenti nei pazienti con malattia avanzata.
I farmaci vengono efficacemente utilizzati in associazione alla riabilitazione, strategia terapeutica che più di tutte è risultata incidere sul mantenimento della funzione cognitiva (vedi oltre: La riabilitazione nella malattia di Alzheimer).
La vitamina E (alfa-tocoferolo) e la selegilina (un inibitore della mono-amino-ossidasi) sono state studiate nella malattia di Alzheimer in virtù delle loro proprietà antiossidanti. Nel complesso, i dati disponibili suggeriscono che la vitamina E alla dose di 2000 unità internazionali al giorno conferisce un modesto beneficio nel ritardare la progressione funzionale a fronte di rischi ed effetti collaterali che non ne giustificano un impiego in clinica. Non è stato evidenziato invece alcun vantaggio nell’uso della selegilina, che ha ancor più effetti collaterali ed è più costosa.
Riconoscere ed affrontare il trattamento dei problemi comportamentali (depressione, agitazione, aggressività), allucinazioni e disturbi del sonno è un altro aspetto particolarmente importante nella cura dei pazienti con demenza. A tale scopo si utilizzano farmaci appartenenti alle categorie dei neurolettici (tipici ed atipici) scegliendo la molecola che meglio si adatta alle necessità del paziente e con meno effetti collaterali (considerate le comorbilità). Farmaci come le benzodiazepine sono da evitare in quanto associate ad un elevato rischio di sviluppo di allucinazioni, possibili effetti paradossi (agitazione piuttosto che sedazione), e peggioramento della malattia andando ad impattare in modo negativo sulle funzioni cognitive.
Vi sono poi terapie che non hanno ancora dimostrato efficacia in studi clinici randomizzati. Tali trattamenti non sono quindi supportati da prove di efficacia:
- Terapia estrogenica
- FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei)
- Ginkgo biloba
- Le statine
- Vitamina B
- Omega-3 (acidi grassi)
Bisogna ricordare che la rimozione dell’amiloide nel deficit cognitivo lieve e nelle forme di malattia di Alzheimer in fase iniziale non si è dimostrata sufficiente per produrre un miglioramento clinico, suggerendo una patofisiologia più complessa.
La modifica degli stili di vita secondo modelli associati a minor prevalenza di demenza, è stata recentemente approvata come profilassi efficace dall’Organizzazione mondiale della sanità.
La riabilitazione
La riabilitazione cognitiva si è dimostrata tra le forme di trattamento più efficaci nel mantenere un buon funzionamento sociale e lo svolgimento delle attività della vita quotidiana (ADL). La riabilitazione cognitiva mira ad aiutare i pazienti nelle prime fasi della malattia a mantenere la memoria e la funzione cognitiva superiore con esercizi specifici. Insegna inoltre ad escogitare strategie per compensare il declino delle specifiche funzioni deficitarie. Gli studi sull’efficacia di questo approccio sono limitati dalla mancanza di tecniche standardizzate.
La fisioterapia permette di mantenere le abilità fisiche residue e ridurre il rischio di cadute, l’incidenza di depressione, l’agitazione e l’aggressività, oltre a migliorare la qualità del sonno.
L’alcol e le benzodiazepine possono esacerbare la disfunzione cognitiva e i disturbi comportamentali nei pazienti con demenza. Costoro, in particolare quelli con forma lieve, talora assumono alcolici o ipnoinducenti (benzodiazepine) in eccesso perché perdono traccia di quanto è già stato assunto.
Da non sottovalutare risulta infine l’aspetto nutrizionale: una nutrizione inadeguata è comune nei pazienti con malattia di Alzheimer ed è associata ad un aumento della morbilità e della mortalità. Interventi come l’introduzione di integratori alimentari orali, piuttosto che diete finalizzate ad aumentare/mantenere il peso e la massa magra influiscono significativamente su qualità della vita e sopravvivenza.